Salerno / Costiera amalfitana. Sono tre anni dalla scomparsa dell’artista originario di Tramonti di base a Minori in Costa d’ Amalfi , che amava tutta la Divina da Positano a Ravello , noto in tutta la Campania. . «Non bisognerebbe mai disperdere la memoria delle cose, dei fatti, delle persone che hanno inciso nella nostra vita personale o in quella collettiva. Ancor di più in un tempo come quello odierno in cui l’eccesso di informazione e di comunicazione rischia di produrre l’effetto contrario, fagocitando tutto in un misto di saperi che restano in superficie, qualora vi restino anche» scrive Erminia Pellecchia su Il Mattino . Ada Patrizia Fiorillo è tra i critici che hanno accettato di scrivere, per il Mattino, un pensiero, a tre anni dalla scomparsa (il 26 alle 19 la commemorazione al duomo di Salerno) su Mario Carotenuto artista. Fiorillo riflette sul «suo lungo viaggio nelle vicende artistiche contemporanee, avviato nel vivo del grande dibattito (realismo-astrattismo) che animava la penisola nel dopoguerra». La risposta l’ha maturata nel tempo, «esulando dall’aneddoto, dalla sua simpatia velata di ironia, dalla gentilezza e anche dal privilegio che sapeva offrirti aprendoti il suo mondo. Un mondo dove bisogna penetrare, per comprendere il peso dell’artista e dell’uomo Il suo confronto con la realtà, il piacere iconico nel tradurla, anche lì dove per breve condotto verso un realismo oggettuale, è stato l’interrogativo più alto e, soprattutto attuale, che egli ha posto alla pittura. Carotenuto ne ha celebrato la componente illusiva, privilegiando la strada di immagini riconoscibili o apparentemente tali, il suo rifugio per assecondare l’enigma del vedere come frutto non di istinto, ma di conoscenza. Su questo filtro ha costruito il proprio mestiere, affondando nell’uso sapiente della tecnica, nel significato e nel peso dei colori, interrogandosi sulla storia dell’arte, dell’antropologia, della mitologia quale patrimonio universale dell’uomo. Una storia che ha saputo ricondurre al presente, sottraendolo alla banalità, con la leggerezza propria dell’intelligenza».
LA RIFLESSIONE
«Negli ultimi decenni del Novecento, la scrittura e il disegno, intrecciandoli, credo siano stati il tratto più vitale di Mario Carotenuto, se non si considera la pittura di travestimento e di mascheramento in cui mette in problema l’identità e il soggetto – annota Angelo Trimarco – Del resto, per tutta la sua vita la pratica del disegno occupa la giornata. Nel 1990 pubblica, mettendo in rapporto scrittura-disegno, Consigli a un giovane pittore e, l’anno successivo, Diario di Ravello a cui farà seguito, nel 92, Il sogno di Ravello, un’altra relazione di pittura e di disegno. Esegui almeno un’ora di disegno per giorno. Deve essere un tuo dovere, meglio se una tua necessità, consiglia a un giovine pittore. Del resto, Carotenuto ha praticato il disegno, sismografo sensibile, per fare affiorare la visione di Salerno: del centro storico e del paesaggio, del lessico famigliare e della gente umile. Struttura della visione è il disegno: Ogni volta che mi accingo al lavoro il foglio bianco appare muto ed ostile e mi è sempre nuovo ciò che mi comincio a disegnare, scrive nel Diario di Ravello». Pittore colto per Stefania Zuliani. «Pienamente consapevole dell’orizzonte nostalgico della sua lunga ricerca di artista, ha attraversato il Novecento con curiosità e senza pregiudizi, mantenendosi fedele ai valori della tradizione illustre della pittura senza però che questa adesione diventasse per lui una prigione o, peggio, una rivendicazione. Convinto che le regole della tecnica hanno valore, ma che niente è definitivo nell’esercizio della pittura e che talvolta l’azzardo e l’invenzione stanno al di sopra di tutto, in un momento di autentica ispirazione, Carotenuto non si è sottratto agli scuotimenti dell’avanguardia, non ha evitato il confronto con le ricerche neo-dada di Rauschenberg e la sfida di portare per forza di collage pezzi di vita nello spazio ormai impuro del quadro non l’ha lasciato indifferente, ma da quelle incursioni è ritornato ancora più convinto della solidità antica della sua pittura. Nel disegnatore, si riconosce una rapidità e un’intelligenza leggera della mano in cui si sente, complice Gatto, la sensibilità dei poeti che disegnano. Nei taccuini di Carotenuto, e penso a quello, bellissimo, del ’98, scrittura e disegno si confrontano e s’intrecciano per catturare il presente, tanto precario quanto prezioso, per cercare, nel paesaggio urbano o nei dettagli domestici, quell’atmosfera impalpabile e misteriosa che non ha smesso di animare le sue pagine, ancora tutte da rileggere». Le fa eco Antonello Tolve: «Più che nella pittura, penso che Carotenuto abbia eccelso davvero nel disegno, nella trasparenza del lapis: è qui che si intravede a mio parere tutto il suo realismo lirico, tutto il suo ripensamento della forma che si fonde ora con il pastello ora con un leggero e sorridente chiaroscuro, quasi a far leggere il capriccio della mano, il piacere del pensiero che si dirige sicuro sulla superficie». Infine Marco Alfano: «Mario Carotenuto, sin dai anni Cinquanta, ha provveduto a svecchiare una situazione provinciale come quella di Salerno, che non conosceva quasi nulla della modernità, dominata ancora da una tradizione pittorica che continuava la cultura figurativa tardo-ottocentesca». Alfano si sofferma in particolare sugli anni 50 a Salerno e sul grande fermento culturale, cui l’artista contribuisce fondando, con altri pittori, il Gruppo L’Arco. E ricorda una delle opere più intense di Carotenuto, il Notturno del 1976, oggi al Frac di Baronissi: al centro del grande dipinto Alfonso Gatto, morto nel marzo di quell’anno; tra guardoni, prostitute, magnaccia, e alcuni testimoni misteriosi, si scorge il brigatista Curcio, mentre sulla destra si riconosce Gallinari, e il volto di Pasolini; la pittura come memoria della cultura, come memoria della società».
Source: Positanonews
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