Tiempo schiattuso co no sole sfatto
Ca s’arranza scurnuso e poi s’accova,
Pazzeia co l’argiento re l’acquazza.
Na nuvola ra cielo c’ammenazza
lo maletiempo. E trona ncupo ncupo.
Gioveri ‘ Santo, tiempo re passione:
e le campane muse so attaccate
autari spuogli, nicchie ncuppulate
Mamma porta lo grano a lo subburco:
na nsalatieri chiena re cecerchie
recce, cresciute inta lo cascione
co na viola miezzo pe bellezza.
All’improvviso sienti nu tremuoto
re taccoli, re troccole, re zirri.
Trema lo munno pecchè è muorto Cristo.
(Giuseppe Liuccio)
La festa di Pasqua è da sempre carica di simbologia. Lo è, soprattutto, per la ritualità della Settimana Santa, che teatralizza passione, morte e resurrezione di Cristo in una con la esplosione della primavera, che nel fasto di luce, colori e profumi celebra la rinascita della natura dopo il letargo dell’inverno. Ogni giorno di questa settimana riannoda i fili della memoria e ripete il miracolo d’amore a trasmigrazione di fantasia. E tutti ed ognuno ci riscopriamo feriti di dolcezza da ingenuità infantile. E la Domenica delle Palme ci siamo fusi e confusi con la folla festante dei paesi ad agitare il nostro ramo d’ulivo, che ondeggiava tra cento mani a cogliere acqua lustrale dal celebrante benedicente. E siamo protagonisti di fede e di tradizioni a portare contriti al “Sepolcro” il grano pallido cresciuto tra letti di stoppa in piatti rozzi nell’ombra di ripostigli segreti, a seguire processioni di incappucciati e non nel variopinto rituale delle congreghe, a sottolineare con il frastuono delle raganelle il calvario di Cristo dall’orto del Getsemani ai supplizi della crocifissione, a registrare il lutto degli altari spogli e delle nicchie coperte, a salutare i bagliori del fuoco nel falò acceso sul sagrato nel crepuscolo del Sabato, a gioire della ritrovata abbondanza nella profumata pastiera della Pasqua.
E’ il trionfo della mediterraneità, che ritrova nel rito delle Palme le sacre radici dell’olivicoltura, nel grano del “Sepolcro” e nel pane e nel vino dell’Eucarestia la fecondità della Magna Mater, che fu Cibele e Demetra, Iside ed Hera e, con nomi diversi, perpetuò il miracolo della vita, quella che rinasce e si rigenera ad ogni primavera e celebra il suo trionfo e si sublima nella ritualità della Pasqua di Resurrezione. Trionfa e si esalta in tutti i paesi della Costa di Amalfi, ma soprattutto a Minori, dove la ritualità assume forme baroccheggianti anche nella suggestione della processione dei “Battenti“, ritmata da struggenti e coinvolgenti canti dalla memoria antica. Carica di emozioni anche la “Processione del Cristo Morto” che il Venerdì Santo scende dalla scalinata aerea e monumentale del Duomo di Amalfi ed attraversa con lenta processione litaniante l’intera città illuminata soltanto dalle candele dei fedeli, lucciole d’amore e di preghiera a margine di mare.
Suggestiva e carica di commovente e coinvolgente emozione è la Ritualità delle Congreghe nel Cilento Antico.
Con questa accezione si indica un vasto territorio, che espone chiese bellissime nella gloria della luce, conventi raccolti nella umbratilità dei chiostri, palazzi gentilizi testimoni di belle pagine di storia del Mezzogiorno d’Italia e non solo. Sono i paesi che, a raggiera dal Monte Stella, scivolano nello sfarzo primaverile dei coltivi verso il mare dei miti e della storia di Licosa e Velia, da un lato, e verso il fondovalle dove il nastro azzurro dell’Alento, fiume sacro nel toponimo della mia terra, racconta storia e storie raccolte nei comuni dell’interno e che miscela lento alla foce del mare greco/velino, dall’altro. Un universo tutto da scoprire, là dove ogni nome è una pagina prestigiosa di storia e d’arte da scoprire ed esaltare. Perdifumo con Vatolla, Camella e Mercato, Montecorice con Agnone, Ortodonico, Fornilli e la Soccia, San Mauro con l’ostentazione legittimamente orgogliosa dei due casali a dominio del mare di Mezzatorre, Pollica, che sulla costa di Acciaroli e Pioppi profuma di iodio e sale, che miscela con il rosmarino, la mentuccia, le mortelle, le ginestre e le roselline selvatiche di Cannicchio e , su su di Celso e Galdo e, via, via, di Serramezzana, Lustra, Stella e Omignano. Un mondo tutto da scoprire e da godere, cogliendone con paziente amore gli angoli più riposti che riservano sorprese inimmaginabili. Lo hanno fatto, in parte, donne ed uomini del CAI di Salerno, che spesso hanno invaso, festosi, tutto il territorio di Perdifumo, dove è passata la grande storia del monachesimo, basiliano, francescano e benedettino, come testimoniano i bei conventi con la figura, tra le altre, di Pietro Pappacarbone, della grande cultura europea con Gianbattista Vico, che qui scrisse La Scienza Nuova, all’ombra di un ulivo sacro, delle belle, festose e fastose tradizioni coinvolgenti nella ardita spettacolarizzazione, come Il Volo dell’Angelo di Camella.
Il Venerdì Santo è tutta da vedere e da godere la processione delle Congreghe che si snodano per i paesi nel fasto dei colori dei costumi dei “confrati“: camice bianco, cinto e mozzetta di colore diverso (rosso, azzurro a seconda della intestazione e della località) ricamata d’oro con tanto di stendardo in sintonia di policromia e gerarchia rispettosa delle cariche (dal priore e giù giù fino all’ultimo dei confrati). E c’è ritualità nelle regole, che si perdono nella notte dei tempi, nelle processioni/pellegrinaggi lungo i percorsi che portano alle varie chiese per la deposizione/visita dei “subburchi” (sepolcri). E vengono scrupolosamente e minuziosamente rispettate nel cerimoniale degli eventuali incontri tra congreghe diverse lungo il percorso, nella esecuzione dei canti del prima, del durante e del dopo la visita alle singole chiese, immancabilmente scandite dal canto del Miserere nella parte centrale. Belli e suggestivi, pur nella semplicità della versificazione, in settenari o ottonari, che teatralizzano crocifissione e morte di Gesù e, conseguentemente, pianto della Madonna Addolorata. Sono quasi tutti anonimi i canti, frutto della creatività popolare e che, comunque, trovano nelle Laudi di Iacopone da Todi il loro modello di ispirazione. Una bella e straordinariamente coinvolgente pagina di religiosità popolare, che si fa spettacolo nelle chiese ricche di storia ed arte e per le strade di campagna profumate di primavera. Io l’ho vissuta con grande partecipazione emotiva. diverse volte nel corso degli anni. La consiglio a tutti, ai Cilentani, soprattutto giovani, che vogliano riscoprire ed esaltare l’orgoglio di identità e di appartenenza, e ai tanti turisti che, finalmente, cominciano a conoscere ed apprezzare storia, cultura, arte e bellezza della mia terra. E si ritengano fortunati se potranno disporre di una guida bella, intelligente, preparata e contagiosa di simpatia come Emma Mutalipassi (ma non è la sola), che si spende con generosità per la promozione della sua terra, che, poi, è anche la mia.
Giuseppe Liuccio
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